Revocabilità dell’agevolazione prima casa

Conseguita l’agevolazione “prima casa”, questa non sarà più revocabile dalla parte salvo, il caso in cui la dichiarazione resa dal contribuente atteneva l’impegno a trasferire entro diciotto mesi la propria residenza (Corte di cassazione – Sez. trib. – Sentenza 14 febbraio 2022, n. 4600).

Nel caso di specie, il contribuente impugnava l’avviso con cui l’Agenzia delle Entrate rettificava l’imposta di registro ed ipocatastali relativa alla compravendita di immobile, sul rilievo che il contribuente non aveva diritto di usufruire delle agevolazioni prima casa, avendo già usufruito della medesima agevolazione per l’acquisto del 25% di altro immobile sito nel Comune di Ercolano.
Il contribuente si opponeva, assumendo di aver trasferito la residenza anagrafica entro il termine di 18 mesi presso l’abitazione sita nel Comune di Ercolano, ma di aver continuato ad abitare e risedere in Roma, sicché non avendone diritto versava all’Agenzia gli importi integrativi dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale relativa alla predetta abitazione, pagando anche le sanzioni a seguito di procedura finalizzata ad ottenere la revoca del beneficio.
La C.T.P. di Roma respingeva il ricorso, sul rilievo che l’atto impugnato era adeguatamente motivato in merito alle cause della revoca del beneficio, avendo il ricorrente dichiarato di possedere i requisiti di cui all’art. 1 tariffa allegata al d.p.r. 131/86 per l’immobile acquistato in Ercolano, non potendo egli rinunciare in un secondo momento al beneficio ottenuto.
Avverso tale sentenza proponeva appello il contribuente che reiterava le difese svolte in primo grado.
Con sentenza, la CTR del Lazio rigettava l’appello, ritenendo legittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate e confermando le argomentazioni addotte dai giudici di primo grado.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il contribuente.
La Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui non è possibile fruire dell’agevolazione prevista per l’acquisto della prima casa, previa rinunzia a un precedente analogo beneficio, conseguito in virtù della medesima disciplina, in conseguenza del divieto di reiterazione interna derivante dalla legge e del carattere negoziale, non revocabile per definizione, della precedente dichiarazione di voler fruire del beneficio.
Nel caso di specie, la dichiarazione abdicativa è stata formalizzata in prossimità del nuovo acquisto (in Roma) e a distanza di quasi dieci anni rispetto al primo acquisto immobiliare (in Ercolano) per il quale il ricorrente aveva fruito del beneficio. Ciò è avvenuto quando il fatto generatore dell’agevolazione si era da anni consolidato riguardo al primo immobile in Ercolano e il relativo rapporto tributario si era definitivamente estinto.
Del resto, il principio di buonafede che il ricorrente fa discendere dal rilascio della certificazione da parte dell’Agenzia che confermava la congruità del versamento nulla ha a che vedere con quella che, in concreto, si configura come l’inammissibile rinuncia a un beneficio già fruito da oltre un decennio.
A nulla rileva che il contribuente abbia, molti anni dopo, dichiarato di aver (illegittimamente) usufruito dell’agevolazione e sostanzialmente di rinunciarvi e che l’amministrazione abbia accettato i versamenti.
Manca, infatti, ogni ragionevole apparenza della legittimità e coerenza dell’operazione, anche sul piano amministrativo.
Il legislatore individua, difatti, i presupposti per richiedere i benefici in esame, al contrario, non prevede la possibilità di rinunciare su base volontaria alle agevolazioni “prima casa”. In linea generale, il rapporto giuridico-tributario che sorge a seguito della dichiarazione resa in atto dal soggetto acquirente e avente ad oggetto il possesso dei requisiti prescritti dalla norma di cui alla Nota II-bis) deve ritenersi perfezionato laddove dette condizioni risultino effettivamente sussistenti.
Pertanto, conseguita l’agevolazione “prima casa”, questa non sarà più revocabile dalla parte salvo, il caso in cui la dichiarazione resa dal contribuente atteneva l’impegno a trasferire entro diciotto mesi la propria residenza. In tale ipotesi, infatti, essendo il requisito in esame rimesso ad una condotta del contribuente, egli può, ma solo in pendenza del relativo termine, revocare la dichiarazione di intenti formulata nell’atto di acquisto dell’immobile. A tal fine, l’acquirente che non intende adempiere all’impegno assunto in atto è tenuto a presentare una apposita istanza all’ufficio presso il quale l’atto è stato registrato, con la quale revoca la dichiarazione d’intenti espressa in atto di volere trasferire la propria residenza nel comune nel termine di diciotto mesi dall’acquisto e richiede la riliquidazione dell’imposta assolta in sede di registrazione. Decorso il termine di diciotto mesi dalla data dell’atto senza che il contribuente abbia provveduto a trasferire la residenza o a presentare all’ufficio dell’Agenzia una istanza con la quale revoca la dichiarazione di intenti di cui sopra, si verifica la decadenza dall’agevolazione “prima casa” fruita in sede di registrazione dell’atto.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Farmacie: passaggio al FIS e obblighi contributivi

Con il Messaggio 16 febbraio 2022, n. 772, l’INPS fornisce, in riferimento alle farmacie, le istruzioni operative relative  al recupero del contributo ordinario, versato al Fondo di solidarietà bilaterale per le attività professionali da marzo 2020, e indica l’iter da seguire per la regolarizzazione delle eventuali competenze arretrate nei confronti del Fondo di integrazione salariale (FIS).

Successivamente al passaggio delle farmacie dal Fondo di solidarietà bilaterale per le attività professionali al Fondo di integrazione salariale (FIS), con effetto retroattivo, l’Inps ha fornito istruzioni operative  per il corretto assolvimento degli obblighi contributivi.
A decorrere dal periodo di paga gennaio 2022, ai farmacisti verrà attribuito centralmente il codice di autorizzazione “0J” (datore di lavoro tenuto al versamento al FIS) che sostituisce il codice autorizzazione “0S”(datore di lavoro tenuto al versamento al Fondo di solidarietà bilaterale per le attività professionali).
La procedura di calcolo verrà adeguata per stabilire la corretta aliquota contributiva dovuta.

I farmacisti interessati, inoltre, per il recupero del contributo ordinario versato al Fondo di solidarietà bilaterale per le attività professionali e non dovuto per il periodo da marzo 2020 a dicembre 2021, valorizzeranno nel flusso Uniemens all’interno di <DenunciaAziendale>, <AltrePartiteACredito>, nell’elemento <CausaleACredito> i nuovi codici causali introdotti per tale finalità :
Contestualmente, ai fini del versamento del contributo ordinario dovuto al FIS, i datori di lavoro valorizzeranno – all’interno di <DenunciaAziendale> <AltrePartiteADebito> – l’elemento <AltreADebito> indicando i seguenti dati:
– in <CausaleADebito> il codice “M131” o “M149” già in uso;
– in <Retribuzione> l’importo dell’imponibile, calcolato sulla retribuzione imponibile ai fini previdenziali;
– in <SommaADebito> l’importo del contributo:
a) pari allo 0,45% dell’imponibile contributivo (da > 5 a 15 dipendenti – M131);
b) pari allo 0,65% dell’imponibile contributivo (da > 15 dipendenti – M149).
La regolarizzazione delle competenze arretrate, relative al periodo da marzo 2020 a dicembre 2021, dovrà avvenire entro il periodo di paga marzo 2022.

I datori di lavoro che hanno sospeso o cessato l’attività, ai fini del corretto assolvimento dell’obbligo contributivo, dovranno avvalersi della procedura delle regolarizzazioni contributive (Uniemens/vig) con riferimento all’ultimo mese di attività dell’azienda.

I chiarimenti del Fisco sulla RITA

Il Fisco chiarisce alcune questioni interpretative relative alla Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (c.d. RITA) (AGENZIA DELLE ENTRATE – Risoluzione 16 febbraio 2022, n. 9/E)

La “Rendita integrativa temporanea anticipata” (c.d. RITA), introdotta in via sperimentale, per il periodo 1° maggio 2017 – 31 dicembre 2018, è attualmente a regime.
Tale istituto risponde alla precipua funzione di sostenere il reddito dei soggetti rimasti senza lavoro, nel periodo che manca al raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.
Ai lavoratori che cessino l’attività lavorativa e maturino l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i cinque anni successivi, e che abbiano maturato alla data di presentazione della domanda di accesso alla rendita integrativa un requisito contributivo complessivo di almeno venti anni nei regimi obbligatori di appartenenza, le prestazioni delle forme pensionistiche complementari, con esclusione di quelle in regime di prestazione definita, possono essere erogate, in tutto o in parte, su richiesta dell’aderente, in forma di rendita temporanea, denominata “Rendita integrativa temporanea anticipata” (RITA), decorrente dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia e consistente nell’erogazione frazionata di un capitale, per il periodo considerato, pari al montante accumulato richiesto. Ai fini della richiesta in rendita e in capitale del montante residuo non rileva la parte di prestazione richiesta a titolo di rendita integrativa temporanea anticipata.
La RITA, per le caratteristiche che presenta, non costituisce una prestazione di carattere definitivo. Essa, infatti, oltre a poter essere revocata, può interessare tutto o parte del montante accumulato ed è compatibile con il versamento di ulteriori contributi, anche nel caso in cui sia stata richiesta, a titolo di RITA, l’intera posizione individuale maturata dall’iscritto alla data della richiesta medesima.
Ne consegue che, anche in caso di erogazione di una anticipazione anteriormente alla erogazione della RITA, il conguaglio dell’imposta assolta a titolo provvisorio sull’anticipazione sarà effettuato al momento della liquidazione definitiva della prestazione. La prestazione definitiva sarà costituita, in caso di RITA parziale, dai montanti non utilizzati per l’erogazione della RITA stessa e dai montanti maturati per effetto dei versamenti contributivi eseguiti in corso di erogazione della RITA; mentre, in caso di RITA totale, dai montanti maturati per effetto dei versamenti contributivi eseguiti in corso di erogazione della RITA.
Nella particolare ipotesi in cui non dovesse residuare alcuna posizione individuale, sia perché è stata richiesta una RITA totale sia perché, in corso di erogazione della RITA, non sono stati effettuati versamenti contributivi ulteriori, si ritiene che il conguaglio dell’imposta versata sull’anticipazione possa essere effettuato, anche per ragioni di semplificazione, a cura della forma pensionistica complementare, in occasione dell’erogazione dell’ultima rata di RITA.
Rimane fermo, in ogni caso, il criterio di imputazione dell’anticipazione che ne prevede la prioritaria imputazione ai montanti più retrodatati e poi a quelli più recenti, con la conseguenza che sono imputati a titolo di RITA i montanti che non sono stati considerati ai fini dell’imputazione dell’anticipazione.
La RITA, per sua definizione, è una prestazione “temporanea” in capitale ad erogazione frazionata. Il carattere non definitivo di tale prestazione è confermato, fra l’altro, non solo dal fatto che la stessa è compatibile con il versamento di ulteriori contributi, anche nel caso di richiesta dell’intero montante accumulato, ma anche dal fatto che la stessa è revocabile e continua a essere gestita dalla forma pensionistica nel corso della sua erogazione.
Il capitale richiesto a titolo di RITA, pertanto, non entra nell’immediata disponibilità del beneficiario, se non nella misura della singola rata percepita.
A tale proposito, la COVIP ha precisato che la sua erogazione avviene in modo necessariamente frazionato in considerazione della particolare funzione di sostegno al reddito che la stessa assolve.
Le somme richieste a titolo di RITA, che costituiscono un capitale unitario nella misura in cui sono caratterizzate da un particolare vincolo di destinazione, continuano, tuttavia, al netto delle rate di volta in volta erogate, a rimanere nella disponibilità della forma pensionistica, che, come già detto, le gestisce secondo la linea concordata con l’iscritto.
La tassazione è, infatti, applicata sulla singola rata di RITA, al momento della sua erogazione, in base al principio di cassa.
Ciò considerato, si ritiene che la misura dell’aliquota applicabile non possa cristallizzarsi al momento della accettazione della richiesta della RITA, ma continui a degradare, in ragione dell’aumentare dell’anzianità di iscrizione al fondo, anche in corso di erogazione della RITA medesima.
Infine, per le prestazioni erogate a titolo di RITA a un “vecchio iscritto” riferite a montanti maturati fino al 31 dicembre 2000, si applica, sulla quota parte di prestazione relativa ai rendimenti finanziari, l’aliquota del 15 per cento, che si riduce fino al 9 per cento in ragione dell’anzianità di iscrizione al fondo.

Cassa Edile di Modena: nuovi contributi

La Cassa Edile della provincia di Modena pubblica la nuova tabella contributiva per le Imprese Edili che applicano il CCNL Ance e Cooperative in vigore dall’1/1/2022

TABELLA CCNL ANCE – COOP IMPRESE

Contribuzione in vigore dall’1/1/2022

Contributi

Quota a carico Aziende

Quota a carico lavoratori

Totale

APE 3,60%   3,60%
Cassa Edile 1,875% 0,375% 2,25%
Ente Scuola CTP 0,65%   0,65%
Contributo Fondo Prepensionamento 0,20%   0,20%
Quota Adesione Contrattuale Nazionale e Provinciale 0,66% 0,22% 0,88%
Totali Parziali 6,985% 0,595% 7,58%
     
Contributo Fondo Sanitario Nazionale 0,60%   0,60%
Contributo Fondo incentivo all’occupazione 0,10%   0,10%
     
Contributo RLST (per imprese senza RLS interno) 0,20%   0,20%
Contributo Associativo Ance Nazionale (per imprese aderenti a Ance con sede fuori provincia di Modena ed iscritte alla Cassa Edili della Provincia di Modena) 1,30%   1,30%
     
Contributo Fondo Sanitario Impiegati 0,26%   0,26%

Nuovo rapporto di lavoro con ex datore distaccante: applicabilità regime impatriati

Con la Risposta n. 85 del 17 febbraio 2022, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che il regime speciale per lavoratori impatriati deve ritenersi applicabile nel caso di ritorno presso la distaccataria italiana con un nuovo contratto di lavoro, dopo oltre due anni di lavoro all’estero in base a contratto di diritto locale con la consociata estera presso la quale il dipendente era stato distaccato.

Il Caso

Nel caso in esame il lavoratore è stato dapprima distaccato presso la consociata estera per oltre un anno, trasferendo all’estero, insieme alla famiglia, la residenza fiscale con iscrizione all’AIRE; successivamente, è stato assunto con contratto di diritto locale a tempo indeterminato alle dirette dipendenze della consociata estera per oltre quattro anni, durante i quali ha mantenuto la residenza all’estero, con ruolo dirigenziale. A decorrere dal 1° gennaio 2022 intende rientrare in Italia, instaurando un autonomo rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la qualifica di dirigente presso l’ex datore di lavoro che lo ha distaccato, trasferendo la residenza in Italia unitamente alla famiglia. Il rapporto di lavoro col precedente datore di lavoro estero viene cessato e le spettanze completamente liquidate.

Si chiede se sia applicabile il regime speciale impatriati in considerazione del nuovo rapporto di lavoro con l’ex datore di lavoro distaccante.

Soluzione

In base alla disciplina del regime speciale degli impatriati, per fruire dell’agevolazione, il lavoratore:
a) deve trasferire la residenza fiscale in Italia;
b) non deve essere stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e deve impegnarsi a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
c) deve svolgere l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Sono destinatari del beneficio fiscale, inoltre, i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
– sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
– abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
L’agevolazione è fruibile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il contribuente trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.

Con riferimento, in particolare, ai contribuenti che rientrano a seguito di distacco all’estero, l’Agenzia delle Entrate ha precisato, tra l’altro, che non spetta il beneficio fiscale nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro.

Diversamente, nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa svolta dall’impatriato costituisca una “nuova” attività lavorativa, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, diverso dal contratto in essere in Italia prima del distacco, e quindi l’impatriato assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario, lo stesso può accedere al beneficio a decorrere dal periodo di imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia.
Tuttavia, pur in presenza di un “nuovo” contratto per l’assunzione di un “nuovo” ruolo aziendale al momento dell’impatrio, l’agevolazione non è applicabile nelle ipotesi in cui il lavoratore rientri in una situazione di “continuità” con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio. La condizione di “continuità” si realizza, ad esempio, quando i termini e le condizioni contrattuali, indipendentemente dal “nuovo” ruolo aziendale e dalla relativa retribuzione, rimangono di fatto immutati al rientro presso il datore di lavoro in virtù di intese di varia natura, quali la sottoscrizione di clausole inserite nelle lettere di distacco ovvero negli accordi con cui viene conferito un nuovo incarico aziendale, dalle quali si evince che, sotto il profilo sostanziale, continuano ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali in essere prima dell’espatrio.
A titolo meramente esemplificativo, costituiscono indice di una situazione di continuità sostanziale:
– il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
– il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
– l’assenza del periodo di prova;
– clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale quattordicesima) maturati nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo accordo;
– clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della Società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la Società di appartenenza in vigore prima del distacco.

Diversamente, laddove le condizioni oggettive del nuovo contratto (prestazione di lavoro, termine, retribuzione) richiedano un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche cui segua un mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione e del titolo del rapporto, il lavoratore rimpatriato può accedere al beneficio fiscale.
Con riferimento al caso di specie, l’Agenzia chiarisce che l’autonomia dei rapporti contrattuali all’interno del gruppo societario non è di per sé ostativa alla fruizione del beneficio.
Pertanto, laddove il lavoratore risulti soddisfare tutti i requisiti sopra descritti a decorrere dal periodo d’imposta in cui trasferisce la residenza fiscale in Italia, e per i successivi quattro periodi di imposta può fruire del regime degli impatriati, in considerazione del “nuovo” contratto di lavoro.