Regime Impatriati: per la proroga serve il versamento per intero

Un cittadino che intende beneficiare della proroga del regime previsto per i lavoratori “impatriati” ma si è accorto che la somma versata, pari al 10%, per aderire al rinnovo dell’agevolazione è inferiore a quanto dovuto, non può effettuare il pagamento dell’integrazione ricorrendo al ravvedimento operoso. In tal caso, non è possibile fruire dell’estensione del regime di favore per ulteriori 5 anni (Agenzia Entrate – risposta 18 luglio 2022 n. 383).

L’art. 5, co. 1, lett. c), del decreto “Crescita”, ha inserito nell’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015, il comma 3-bis, ai sensi del quale le disposizioni relative al regime speciale per lavoratori impatriati si applicano per ulteriori cinque periodi di imposta ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo. La proroga è prevista anche nel caso in cui i lavoratori diventino proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento.

Successivamente, la Legge di Bilancio 2021 ha previsto che i cittadini che sono stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime degli impatriati, possono optare per l’estensione del regime speciale per ulteriori cinque periodi d’imposta, previo versamento di un importo pari al 10% ovvero al 5% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo agevolabili prodotti in Italia relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione.

Con provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle entrate del 3 marzo 2021, prot. n. 60353, sono state definite le modalità di esercizio dell’opzione. In particolare, il provvedimento prevede che i soggetti per i quali il primo periodo di fruizione dell’agevolazione si è concluso il 31 dicembre 2020, effettuano il versamento entro 180 giorni dalla data di pubblicazione del provvedimento medesimo. Pertanto, i soggetti, come quello del caso di specie, che terminavano il primo periodo di fruizione del regime agevolativo il 31 dicembre 2020, avrebbero dovuto effettuare il versamento entro il 30 agosto 2021.

Tanto premesso, laddove il versamento degli importi dovuti sia omesso o carente, il mancato adempimento preclude l’applicazione del beneficio, non essendo ammesso il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso.

Resta però salva la possibilità di recuperare quanto versato ai sensi dell’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992.

Semplificazioni in materia di dichiarazione IRAP

Il Fisco chiarisce l’applicabilità delle nuove disposizioni nell’ambito dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) introdotte dal decreto semplificazioni (AGENZIA DELLE ENTRATE – Risoluzione 15 luglio 2022, n. 40/E)

Il decreto semplificazioni (articolo 10 del decreto- legge 21 giugno 2022, n. 73) ha modificato l’articolo 11 del Decreto Irap (decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446). Il nuovo decreto prevede che spettano esclusivamente in relazione a soggetti diversi dai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato le seguenti deduzioni:
– la deduzione dei contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro (art. 11, comma 1, lett. a, n. 1, del decreto IRAP);
– la deduzione delle spese relative agli apprendisti, ai disabili e delle spese per il personale assunto con contratti di formazione e lavoro, nonché, dei costi sostenuti per il personale addetto alla ricerca e sviluppo (art. 11, comma 1, lett. a, n. 5, del decreto IRAP);
– la deduzione forfetaria di 1.850 euro fino a 5 dipendenti per i soggetti con componenti positivi non superiori nel periodo d’imposta a euro 400.000 (art. 11, comma 4-bis. 1, del decreto IRAP).
Inoltre, prevede, l’abrogazione delle seguenti agevolazioni:
– la deduzione forfetaria di 7.500 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo di imposta, aumentato a 13.500 euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni (art. 11, comma 1, lett. a, n. 2, del decreto IRAP) e la deduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali relativi ai medesimi lavoratori (art. 11, comma 1, lett. a, n. 4, del decreto IRAP);
– la deduzione per incremento occupazionale fino a 15.000 euro per ciascun nuovo dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato (art. 11, comma 4-quater, del decreto IRAP).
La disposizione in commento modifica, infine, il comma 4-octies dell’articolo 11 del decreto IRAP sostituendo la deduzione del costo residuo del personale dipendente con contratto a tempo indeterminato (pari alla differenza tra il costo del predetto personale e le altre deduzioni spettanti) con la deduzione integrale del costo complessivo del predetto personale. In pratica, il costo deducibile non va più determinato per “differenza” rispetto alle altre deduzioni specifiche previste dall’articolo 11 del decreto IRAP (nella formulazione previgente).
Le nuove disposizioni si applicano a partire dal periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del medesimo decreto (in vigore dal 22 giugno 2022).
A tal riguardo, si forniscono le modalità di compilazione del modello IRAP 2022, in particolare le istruzioni per la compilazione della sezione I del quadro IS:
– nei righi IS1, colonna 2, IS4, colonna 3, e IS5, colonna 2, vanno indicate le deduzioni spettanti in relazione ai soggetti diversi dai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato;
– i righi IS2, IS3 e IS6 non vanno compilati;
– nel rigo IS7, colonna 3, va indicata la deduzione di cui all’articolo 11, comma 4-octies, del decreto IRAP (nella vigente formulazione), ossia la deduzione riferita al costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato, compresa la deduzione ammessa, nei limiti del 70 per cento del costo complessivamente sostenuto, per ogni lavoratore stagionale impiegato per almeno centoventi giorni per due periodi d’imposta, a decorrere dal secondo contratto stipulato con lo stesso datore di lavoro nell’arco temporale di due anni a partire dalla cessazione del precedente contratto (da evidenziare anche in colonna 2);
– nel rigo IS9 va indicata l’eventuale eccedenza delle deduzioni ammesse dai commi 1 e 4- bis.1 del citato articolo 11 rispetto al limite massimo rappresentato dalla retribuzione e dagli oneri e spese a carico del datore di lavoro.
Atteso che la novella normativa si sostanzia essenzialmente in una semplificazione nel calcolo della deduzione spettante per i dipendenti a tempo indeterminato cui consegue una semplificazione nelle modalità di compilazione della dichiarazione IRAP (senza impatti, dunque, nel quantum della deduzione spettante), si ritiene che per il primo anno sia comunque possibile compilare la sezione I del quadro IS secondo le regole attualmente fornite nelle istruzioni per la compilazione del modello IRAP 2022, pubblicato sul sito istituzionale dell’Agenzia delle entrate (senza tenere conto, quindi, di quanto sopra precisato).

Gruppo Iva: chiarimenti sulla garanzia dei rimborsi

La società capogruppo, se coincide con la controllante IVA, cui competono gli adempimenti relativi alla medesima procedura di liquidazione, è esonerata dal garantire i propri crediti compensati nella liquidazione IVA di gruppo. Il medesimo esonero non può essere ammesso a favore della società controllante nell’ipotesi in cui le eccedenze di credito emergenti dalla liquidazione di gruppo siano chieste a rimborso, secondo una procedura differenziata che, rispetto alla compensazione, presenta un maggior rischio fiscale (Agenzia Entrate – risposta 15 luglio 2022, n. 381).

 

Ai fini della costituzione di un gruppo Iva, vale il principio del cosiddetto ” all in all out”, secondo il quale, se si intende costituire un gruppo IVA, tutte le società stabilite in Italia legate devono obbligatoriamente esercitare l’opzione, pena il recupero degli eventuali vantaggi indebitamente conseguiti dall’esclusione di talune società e, in caso di perseveranza nella violazione, lo scioglimento del gruppo IVA.
Il rappresentante del gruppo è individuato nel soggetto che esercita sugli altri partecipanti al Gruppo IVA il controllo previsto dall’articolo 70- ter, co. 1, Decreto IVA (c.d. “vincolo finanziario”).
In relazione al rimborso del credito Iva, il legislatore tributario, al pari di quello civile, ha disposto, dunque, che il rimborso del credito IVA sia tutelato da un sistema complesso di garanzie.
Il codice civile prevede, infatti, oltre alla generica garanzia sottostante ad ogni rapporto debitorio, secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, un ulteriore sistema di garanzie a protezione del credito stesso. In particolare, è possibile aumentare il numero dei soggetti passivi che, obbligandosi personalmente verso il creditore con il proprio patrimonio, garantiscono l’adempimento di una obbligazione altrui.
Ugualmente, la norma tributaria, prevede che, a fronte del rimborso, il contribuente (ove non esonerato) presti, in aggiunta alla generica garanzia data dal suo patrimonio, un’ulteriore garanzia mediante “cauzioni in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, ovvero fideiussione rilasciata da un’azienda o istituto di credito, o da un’impresa commerciale che a giudizio dell’Amministrazione finanziaria offra adeguate garanzie di solvibilità o mediante polizza fideiussoria rilasciata da un istituto o impresa di assicurazione”.
Tuttavia, attesa l’onerosità delle disposizioni sopra richiamate, il legislatore ha previsto a beneficio di alcuni soggetti in possesso di determinati requisiti, una semplificazione delle modalità di prestazione della garanzia prevedendo che per i gruppi di società, con patrimonio consolidato superiore a 500 miliardi di lire, la garanzia può essere prestata mediante diretta assunzione da parte della società capogruppo o controllante di cui all’art. 2359 del codice civile.
Pertanto, per effetto della richiamata disposizione, la società capogruppo o controllante può assumere, per conto della società del gruppo che ha presentato istanza di rimborso, l’obbligazione di integrale restituzione delle somme che possono risultare indebitamente rimborsate, ovvero degli altri crediti del medesimo periodo cui si riferisce il rimborso e di quelli precedenti maturati nel periodo di validità della garanzia, divenendo, per così dire, “fideiussore” della controllata. In tal caso, la controllante assume direttamente l’obbligo di restituire le imposte indebitamente rimborsate alle società del gruppo che ne hanno fatto richiesta.
Al riguardo, con riferimento alla procedura di liquidazione IVA di gruppo, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di chiarire che la società capogruppo, se coincide con la controllante IVA (cui competono gli adempimenti relativi alla medesima procedura di liquidazione), è esonerata dal garantire i propri crediti compensati nella liquidazione IVA di gruppo.
Il medesimo esonero non può essere ammesso a favore della società controllante nell’ipotesi in cui le eccedenze di credito emergenti dalla liquidazione di gruppo siano chieste a rimborso, secondo una procedura differenziata che, rispetto alla compensazione, presenta un maggior rischio fiscale.
Tanto premesso, nel caso di specie, il rappresentante fiscale non può essere equiparato alla società capogruppo, rispetto al gruppo IVA cui si riferisce il rimborso, soggetto nato per assumere i diritti e gli obblighi derivanti dalle operazioni IVA effettuate dai soggetti ad esso partecipanti. Manca, infatti, quell’alterità soggettiva e patrimoniale che caratterizza la forma di garanzia mediante assunzione diretta della responsabilità da parte della capogruppo, essendo il rappresentante parte stessa del gruppo IVA e già responsabile solidalmente con tutti gli altri soggetti partecipanti delle somme eventualmente accertate in capo al gruppo IVA.

Superbonus: nuovi chiarimenti dal Fisco

In materia di Superbonus, forniti chiarimenti su un’unità immobiliare funzionalmente indipendente locata al socio persona fisica della società proprietaria dell’immobile (Agenzia delle entrate – Risposta 15 luglio 2022, n. 380).

Nel caso di specie, la contribuente detiene in locazione con il coniuge un’unità immobiliare censita in Catasto in categoria A/2, di proprietà della società S.r.l. di cui è socia, che è ubicata al piano superiore di un edificio nel quale, al piano terreno, si trovano dei locali di proprietà della medesima società adibiti ad attività commerciale.
Al riguardo, nell’evidenziare di non svolgere alcuna attività lavorativa, precisa che la predetta unità immobiliare è funzionalmente indipendente ” avendo un libero accesso dalla strada pubblica e essendo anche dotata di autonome utenze relative alla corrente e al gas”.
Avendo intenzione di eseguire degli interventi di efficientamento energetico di cui all’articolo 119 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (quali il c.d. “cappotto termico”, l’installazione di pannelli solari fotovoltaici con relative batterie di accumulo, la sostituzione dell’attuale impianto di climatizzazione invernale con uno a pompa di calore nonché la sostituzione di tutti gli infissi), chiede chiarimenti in merito alla possibilità di fruire del Superbonus.

In linea di principio, inoltre, in applicazione di un criterio “oggettivo” che valorizza l’utilizzo effettivo dell’immobile oggetto degli interventi agevolabili, indipendentemente dal rapporto giuridico che lega l’utilizzatore all’immobile medesimo (proprietario, possessore o detentore), non rileva, ai fini del Superbonus, che l’immobile detenuto dal conduttore o dal comodatario persona fisica « al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni», sia di proprietà di un soggetto escluso dalla predetta detrazione quale, ad esempio, una società.
Va, tuttavia, precisato che il Superbonus non spetta, invece, ai soci di una società che svolge attività commerciale, che sostengono le spese per interventi effettuati su immobili residenziali di proprietà della predetta società che costituiscono beni relativi all’impresa. Tale preclusione sussiste anche nell’ipotesi in cui il socio sia detentore dell’immobile oggetto di interventi agevolabili sulla base, ad esempio, di un contratto di locazione o di comodato.
Alla luce delle suesposte considerazioni, l’Agenzia ritiene pertanto che l’ Istante, in quanto socia della società a responsabilità limitata proprietaria dell’immobile, non possa fruire del Superbonus di cui all’articolo 119 del decreto Rilancio, a nulla rilevando che detenga l’unità immobiliare in virtù di un contratto di locazione regolarmente registrato e che sia in possesso del consenso all’esecuzione dei lavori da parte del proprietario.

Terzo Settore: il regolamento sul social bonus

Pubblicato nella G.U. 14 luglio 2022, n. 163 il regolamento concernente le modalità di attuazione del credito d’imposta denominato social bonus (Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Decreto 23 febbraio 2022, n. 89).

Possono fruire del credito d’imposta social bonus le persone fisiche, gli enti che non svolgono attività commerciali e tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano, nonché dal regime contabile adottato.
Sono ammesse al credito d’imposta le erogazioni liberali destinate ed utilizzate per sostenere il recupero delle seguenti categorie di beni assegnati agli enti del Terzo settore, in forma singola o in partenariato tra loro:
a) immobili pubblici inutilizzati;
b) beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata.
I beni oggetto degli interventi di recupero sono quelli utilizzati da parte degli enti del Terzo settore in via esclusiva per lo svolgimento di una o più attività di interesse generale, con modalità non commerciali.
Per il recupero di beni immobili, le erogazioni liberali sono ammesse al credito d’imposta in ragione degli interventi edilizi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, finalizzati ad assicurarne il riutilizzo e funzionali allo svolgimento di una o più attività di interesse generale. Le erogazioni liberali possono altresì sostenere le spese di gestione dei beni, anche al fine di assicurarne l’efficienza funzionale.
Alle erogazioni previste nel presente articolo non si applicano le disposizioni relative alle detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali di cui all’articolo 83 del Codice, né le agevolazioni fiscali previste da altre disposizioni di legge a titolo di deduzione o di detrazione di imposta.
Il credito d’imposta è riconosciuto:
– nella misura del 65 per cento delle erogazioni liberali in denaro effettuate da persone fisiche e del 50 per cento, se effettuate da enti o società;
– alle persone fisiche, agli enti e alle società che non svolgono attività commerciali nei limiti del 15 per cento del reddito imponibile ed ai soggetti titolari di reddito d’impresa, nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui.
Il credito d’imposta è ripartito in tre quote annuali di pari importo e spetta a condizione che le erogazioni liberali siano effettuate esclusivamente mediante sistemi di pagamento che ne garantiscano la tracciabilità, tramite banche, uffici postali ovvero mediante altri sistemi di pagamento. La causale del pagamento dovrà contenere il riferimento al social bonus, all’ente del Terzo settore beneficiario e all’oggetto dell’erogazione.
Le persone fisiche e gli enti non commerciali fruiscono del credito d’imposta a decorrere dalla dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui è stata effettuata l’erogazione liberale.
La quota annuale non utilizzata può essere riportata nelle dichiarazioni dei periodi di imposta successivi, fino ad esaurimento del credito.
Per i soggetti titolari di reddito d’impresa, il credito d’imposta è utilizzabile in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione dell’erogazione liberale, presentando il modello F24 esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento. In caso di mancato utilizzo, in tutto o in parte, dell’importo annuale, l’ammontare residuo potrà essere utilizzato nel corso dei periodi di imposta successivi. Con apposita risoluzione dell’Agenzia delle entrate è istituito il codice tributo per la fruizione del credito d’imposta, da indicare nel modello F24, e sono impartite le istruzioni per la compilazione del modello. Il credito d’imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di fruizione dello stesso e in quelle relative ai periodi d’imposta successivi, fino a quando se ne esaurisce la fruizione.
Il credito d’imposta non concorre alla formazione del reddito, ai fini delle imposte sui redditi, e del valore della produzione, ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive.
Si applicano le disposizioni in materia di liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso previste dalle norme vigenti in materia di imposte sui redditi.