Nota di variazione Iva al committente che ha cambiato partita Iva

È possibile riaprire la partita IVA ed emettere la nota di variazione Iva in aumento, per esercitare il diritto di rivalsa dell’imposta versata in sede di adesione, nei confronti del committente persona fisica che, nel frattempo, abbia cessato la partita Iva originaria e ne abbia attivata una nuova. Il documento deve essere intestato alla nuova partita IVA, indicando anche il codice fiscale, la fattura originaria e gli estremi dell’accertamento. (Agenzia delle Entrate – Risposta 21 gennaio 2022, n. 41).

Il Caso

Il contribuente ha esercitato l’attività professionale usufruendo del regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile in assenza dei requisiti di legge.
A seguito di accertamento con adesione, ha provveduto a versare l’IVA dovuta in relazione alle fatture emesse. Tuttavia, al momento della contestazione della violazione aveva già cessato l’attività e chiuso la partita Iva.
Considerato che il principale committente, intanto, aveva chiuso l’originaria partita Iva e ricominciato la medesima attività qualche tempo dopo aprendone una nuova, si chiede se sia possibile:
– chiedere la riapertura della vecchia partita al fine di emettere le note di variazione in aumento nei confronti dei committenti;
– emettere la nota di variazione nei confronti del committente che ha chiuso l’originaria partita Iva e ne ha aperta un’altra.

Normativa

Il Decreto IVA stabilisce che il contribuente ha diritto di rivalersi dell’IVA o della maggiore IVA relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi; in tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
La norma consente, dunque, l’esercizio del diritto di rivalsa della maggiore imposta accertata a condizione che il cedente/prestatore abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all’erario e, nel contempo, il diritto a detrazione in capo al cessionario dell’IVA pagata a titolo di rivalsa, al verificarsi delle condizioni per il suo esercizio. Essa mira a ripristinare, infatti, anche nelle ipotesi di accertamento, la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto di detrazione consentendo il normale funzionamento dell’IVA, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici.
In altri termini:
– la rivalsa si applica solo se la base imponibile sia riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati cessionari o committenti (anche se l’imposta è determinata in via forfettaria). La rivalsa va, invece, esclusa se manca tale condizione, come nel caso dell’IVA dovuta a seguito di accertamento induttivo;
– l’operatività del diritto di rivalsa presuppone la definizione dell’accertamento ed il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi;
– nel caso di pagamento rateale dell’imposta definitivamente accertata, il diritto alla rivalsa è ammesso in proporzione alla singola rata pagata.

Soluzione

Riguardo al caso esaminato, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’assenza della partita IVA al momento della commissione della violazione oggetto di accertamento, non può essere sanzionata con la preclusione della rivalsa. In tale evenienza il soggetto accertato può esercitare la rivalsa utilizzando la partita IVA attribuitagli d’ufficio in sede di accertamento. In altre parole è ammessa l’apertura della partita IVA anche in un momento successivo all’attività di controllo, al solo fine di esercitare la rivalsa.
Quanto, invece, alla possibilità di esercitare la rivalsa nei confronti di una partita IVA diversa da quella indicata nell’originaria fattura, ormai chiusa, l’Agenzia delle Entrate, in passato, ha chiarito che nell’ipotesi di intervenuta estinzione del soggetto passivo acquirente non è possibile esercitare la rivalsa IVA, riferendosi però a soggetti giuridici estinti, e quindi cancellati dal registro delle imprese.
Nel caso di specie, invece, il committente ha chiuso la propria partita IVA nel mese di dicembre per poi riaprirla a distanza di un anno per esercitare la medesima attività. Secondo l’Agenzia delle Entrate, in tal caso, il committente persona fisica non si è “estinto” – come accade per un soggetto giuridico – ma, al contrario, ha poi continuato ad esercitare la medesima attività, seppur con una nuova partita IVA; ciò consente di riconoscere una continuità soggettiva e, quindi, di attribuirgli, da un punto di vista sostanziale, l’identità di “committente originario”, anche se fiscalmente lo stesso sia ora individuato da una partita IVA formalmente diversa da quella utilizzata nell’operazione originaria. D’altronde una persona fisica, per sua natura, nonostante l’attribuzione di una diversa partita IVA, mantiene sempre il medesimo codice fiscale che costituisce, ai fini della fatturazione dell’IVA di rivalsa, l’elemento di continuità con il passato, laddove nel contempo il committente seguiti ad esercitare la medesima attività.

In conclusione, è possibile chiedere la riapertura della partita IVA, ed emettere le note di variazione Iva in aumento per esercitare la rivalsa dell’imposta versata in sede di adesione. In particolare, nei confronti del committente che ha cambiato la partita Iva, tenuto conto della sostanziale continuità soggettiva della posizione fiscale, la nota di variazione deve essere intestata alla nuova partita IVA del committente, avendo cura di indicare, altresì, anche il suo codice fiscale, i riferimenti della fattura originaria e gli estremi identificativi dell’avviso di accertamento.

Attività senza Green Pass: arriva l’elenco

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha firmato il DPCM 21 gennaio 2022 che individua le esigenze essenziali e primarie della persona per le quali non è richiesto il possesso del Green Pass. La deroga vale per i servizi e le attività del settore alimentare e prima necessità, sanitario, veterinario, di giustizia e di sicurezza personale.

Dal 1° febbraio 2022 il Green Pass non è richiesto per soddisfare le seguenti esigenze:

– alimentari e di prima necessità per le quali è consentito l’accesso esclusivamente alle attività commerciali di vendita al dettaglio;

– di salute, per le quali è sempre consentito l’accesso per l’approvvigionamento di farmaci e dispositivi medici e, comunque, alle strutture sanitarie e sociosanitarie (art. 8-ter, D.Lgs. n. 502/1992), nonché a quelle veterinarie, per ogni finalità di prevenzione, diagnosi e cura, anche per gli accompagnatori;

– di sicurezza, per le quali è consentito l’accesso agli uffici aperti al pubblico delle Forze di polizia e delle polizie locali, allo scopo di assicurare lo svolgimento delle attività istituzionali indifferibili, nonché quelle di prevenzione e repressione degli illeciti;

– di giustizia, per le quali è consentito l’accesso agli uffici giudiziari e agli uffici dei servizi sociosanitari esclusivamente per la presentazione indifferibile e urgente di denunzie da parte di soggetti vittime di reati o di richieste di interventi giudiziari a tutela di persone minori di età o incapaci, nonché per consentire lo svolgimento di attività di indagine o giurisdizionale per cui è necessaria la presenza della persona convocata.

Superbonus: nuovi chiarimenti dal Fisco

In materia di Superbonus, forniti chiarimenti sugli interventi effettuati su due unità abitative, costituenti un “condominio minimo”, che al termine dei lavori di demolizione e ricostruzione saranno accorpate (Agenzia delle entrate – Risposta 21 gennaio 2022, n. 40).

Nel caso di specie, il contribuente ha concluso, insieme al coniuge, un contratto preliminare per l’acquisto di due unità immobiliari in categoria A/4 facenti parte di un unico edificio che saranno di proprietà una dell’Istante e una del coniuge costituendo un cd. “condominio minimo”. L’edificio sarà oggetto di interventi di demolizione e ricostruzione al termine dei quali le due unità immobiliari saranno accorpate con conseguente fusione catastale.
Trattandosi di interventi per i quali spetta la detrazione di cui all’articolo 119 del decreto legge n. 34 del 2020 (cd. Superbonus), l’istante chiede se:
– può fruire del citato Superbonus per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2022, atteso che l’intervento sarà effettuato da un condominio e che solo al termine dei lavori di demolizione e ricostruzione le due unità immobiliari saranno accorpate;
– i pagamenti effettuati entro gli attuali termini di scadenza dell’agevolazione diano diritto al Superbonus anche qualora i lavori termineranno successivamente a tali termini.

Con riferimento al primo quesito, considerato che all’inizio dei lavori l’edificio sarà costituito in condominio, nel rispetto di ogni altra condizione richiesta dalle norme, la detrazione spetta, sia pure con le diverse aliquote sopra indicate, per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2025.
Con riferimento al secondo quesito, il Superbonus si applica alle spese sostenute per gli interventi “trainanti e “trainati elencati nell’articolo 119 del decreto Rilancio, nel periodo di vigenza dell’agevolazione ivi indicato, indipendentemente dalla data di avvio e di ultimazione degli interventi cui le spese si riferiscono.
Ai fini dell’applicazione della detrazione in questione è necessario che gli interventi oggetto dell’agevolazione siano effettivamente completati. Tale condizione sarà verificata dall’Amministrazione finanziaria in sede di controllo.

Decreto Sostegni ter: le misure per le imprese

Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge che introduce misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico. (PCM – Comunicato 21 gennaio 2022, n. 57)

 

Nel decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri sono stati introdotti nuovi sostegni alle attività maggiormente colpite dall’emergenza Covid e interventi per contrastare l’aumento del costo della bolletta energetica per le imprese.
In particolare, sono stati stanziati circa 390 milioni per le misure di sostegno ad attività del commercio al dettaglio, del settore dell’intrattenimento e del tessile:
– Istituito al Mise un “Fondo per il rilancio delle attività economiche di commercio al dettaglio” con una dotazione di 200 milioni per l’anno 2022. Per poter beneficiare dei contributi a fondo perduto le imprese devono presentare un ammontare di ricavi riferito al 2019 non superiore a 2 milioni e aver subito una riduzione del fatturato nel 2021 non inferiore al 30% rispetto al 2019;
– Il Fondo per il sostegno delle attività economiche particolarmente colpite (intrattenimenti, discoteche, gestione di piscine a titolo di esempio) dall’emergenza epidemiologica, istituito con il decreto Sostegni del 22 marzo 2021, è esteso al 2022 con uno stanziamento di 20 milioni da destinare ad interventi in favore dei parchi tematici, acquari, parchi geologici e giardini zoologici. Per i settori del wedding, intrattenimento e affini sono stanziati 40 milioni, mentre è stato aumentato di 30 milioni il fondo dedicato alle discoteche e sale da ballo;
– Il credito d’imposta del 30% sul valore delle rimanenze finali di magazzino delle attività manifatturiere e del commercio del settore tessile, della moda e degli accessori è esteso anche alle imprese che svolgono attività di commercio al dettaglio in esercizi specializzati di prodotti tessili, della moda, del calzaturiero e della pelletteria. Per la misura sono stanziati circa 100 milioni.
Contro il caro energia è stato, inoltre, approvato un pacchetto di misure calibrato verso le filiere produttive che rischiano maggiormente l’interruzione delle attività:
– 1,2 miliardi per annullare a tutte le imprese gli oneri di sistema nel primo trimestre del 2022. Riguarderà le attività che nei contratti impegnano potenza anche sopra i 16,5kW;
– 540 milioni per contributi sotto forma di credito d’imposta pari al 20% delle spese elettriche (tutta la bolletta) per le imprese energivore, circa 3.800, che hanno subito incremento dei costi +30% rispetto al 2019;
– prevista, dal 1 febbraio al 31 dicembre 2022, anche una misura per i fotovoltaici incentivati con vecchi sistemi che se hanno extra profitto devono riversarne una parte al GSE tramite compensazione. L’importo verrà deciso dal GSE.

Kit preparazione pasti: Iva del 10%

La vendita online di scatole contenenti kit di ingredienti necessari per la preparazione di pasti da parte dei clienti costituisce una cessione di beni a cui si applica l’aliquota più elevata tra quelle applicabili agli ingredienti che compongono la confezione, pari al 10% (Agenzia Entrate – risposta 20 gennaio 2022, n. 35).

Nel caso di specie risulta importante distinguere il regime Iva applicabile alla “somministrazione di alimenti e bevande” da quello della mera “fornitura di alimenti e bevande”.

La “somministrazione di alimenti e bevande” rientra tra le prestazioni di servizi di cui all’art. 3, co. 2, n. 4), D.P.R. n. 633/1972 ed è soggetta all’applicazione dell’aliquota IVA del 10%, come disposto dal n. 121) della Tabella A, Parte III allegata al D.P.R. n. 633/1972, mentre le cessioni di alimenti e bevande sono considerate cessioni di beni ai sensi dell’art. 2 del medesimo decreto Iva e scontano l’aliquota IVA applicabile in funzione della tipologia di bene venduto.

In mancanza di una definizione espressa di “somministrazione di alimenti e bevande” occorre fare riferimento all’art. 6 del Regolamento di esecuzione (UE) N. 282/2011 del Consiglio del 15 marzo 2011, secondo cui ” I servizi di ristorazione e di catering consistono nella fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, destinati al consumo umano, accompagnata da servizi di supporto sufficienti a permetterne il consumo immediato. La fornitura di cibi o bevande o di entrambi costituisce solo una componente dell’insieme in cui i servizi prevalgono. Nel caso della ristorazione tali servizi sono prestati nei locali del prestatore, mentre nel caso del catering i servizi sono prestati in locali diversi da quelli del prestatore.

Al contrario, la fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, compreso o meno il trasporto ma senza altri servizi di supporto, non è considerato un servizio di ristorazione o di catering.

Secondo il legislatore unionale, la fornitura di cibi o di bevande o di entrambi rappresenta solo una componente dei servizi di ristorazione e catering, i quali si connotano per la prevalenza dei servizi di supporto atti a permetterne il consumo immediato.

In altre parole, in assenza di servizi di supporto la fornitura di alimenti e bevande manca delle necessarie caratteristiche per rientrare nella definizione di servizio di ristorazione e catering e va più propriamente ricondotta ad una cessione di beni.

Alla luce dell’interpretazione della nozione comunitaria dei “servizi di ristorazione o di catering” tenuto conto degli elementi forniti dall’istante ai fini della descrizione della fornitura delle confezioni contenenti i kit di ingredienti, le operazioni effettuate non sono qualificabili come somministrazione di alimenti e bevande, costituendo, quindi, cessioni di beni.

Nel caso di specie, la fornitura delle confezioni contenenti i kit di ingredienti, ha ad oggetto preparazioni alimentari, consistenti in un misto di ingredienti alimentari già porzionati ma non pronti per il consumo, dovendo a tal fine essere cotti o ultimati dal consumatore.

Nella stessa confezione, sono presenti ingredienti assoggettabili ad aliquote IVA differenti (generalmente aliquote ridotte del 4%, 5% o 10%); tuttavia alla cessione delle singole confezioni viene applicato un unico corrispettivo (indistinto per aliquote IVA).

Il corrispettivo, determinato in modo forfettario, è pagato dal cliente al momento della sottoscrizione dell’abbonamento, sul sito web della Società. L’abbonamento, che può essere modificato, sospeso, cancellato o riattivato in qualsiasi momento, consente ai clienti di prenotare i loro pasti preferiti, tra un numero stabilito di ricette che variano ogni settimana, e di riceverli nei giorni e agli orari selezionati.

Ciò posto, in merito all’individuazione dell’aliquota applicabile all’operazione, nella risoluzione n. 142 del 1999, riguardante la realizzazione ” di una pluralità di operazioni a fronte delle quali, tra l’altro, è prevista la corresponsione di un corrispettivo unico forfettario con la conseguenza che per le stesse non è dato applicare il corrispondente trattamento Iva differenziato”, l’Amministrazione finanziaria è giunta alla conclusione che ” alle prestazioni di che trattasi si rende applicabile l’Iva con l’aliquota massima prevista per le opere ricomprese nella fattispecie negoziale in discorso, ossia quella del 10%.

In sostanza, tale documento di prassi, ha chiarito che in presenza di più operazioni, per le quali sia pattuito un corrispettivo unico, deve aversi riguardo all’aliquota IVA più alta tra quelle previste per i beni/servizi ceduti/resi, a prescindere dall’eventuale prevalenza dei beni/servizi ad aliquota inferiore.

Pertanto, nella fattispecie in esame, l’operazione di cui trattasi debba essere assoggettata ad IVA con applicazione dell’aliquota nella misura del 10%, vale a dire con l’aliquota più elevata tra quelle astrattamente applicabili agli ingredienti che compongono la confezione.

Tale soluzione presuppone, in ogni caso, che gli ingredienti contenuti nella confezione siano riconducibili ai prodotti tassativamente elencati nella parte II, nella parte II-bis e nella parte III della Tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972.