Licenziamento: valutazione della proporzionalità tra sanzione e addebiti

In materia di licenziamento disciplinare intimato per una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti, solo alcuni dei quali risultino dimostrati, resta ferma la necessità di operare, in ogni caso, una valutazione di proporzionalità tra la sanzione ed i comportamenti dimostrati.

La Corte di appello ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore per attribuzione di dichiarazioni false alle colleghe in relazione all’integrità di essiccatore utilizzato nell’ambito delle mansioni di addetta al laboratorio di analisi e nonché per aggressione verbale e fisica del datore di lavoro in presenza di terzi.
In particolare, i giudici hanno ritenuto provate sia la falsità delle giustificazioni rese dal lavoratore circa il primo addebito disciplinare contestato sia l’aggressione (non solo verbale) nei confronti del datore di lavoro, di cui al secondo addebito disciplinare; con riguardo al primo episodio ha ritenuto “l’oggettiva modestia del disvalore intrinseco alla condotta posta in essere” ma, con riguardo al secondo episodio ha ritenuto conseguire un “oggettivo disvalore aziendale, che rende del tutto incompatibile la prosecuzione del rapporto che necessita del vincolo fiduciario tra le parti, condotta che rende infausta la prognosi di un ritorno alla normalità e al corretto adempimento degli obblighi di obbedienza, fedeltà, collaborazione, intrinseci al rapporto di lavoro.
La Suprema corte ribadisce che, nel caso di licenziamento disciplinare intimato per una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti, solo alcuni dei quali risultino dimostrati, la “insussistenza del fatto” si configura qualora possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva, o se si realizzi l’ipotesi dei fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità, ferma restando la necessità di operare, in ogni caso, una valutazione di proporzionalità tra la sanzione ed i comportamenti dimostrati.
Ne consegue che, nell’ipotesi di sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta dimostrata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa, ricadendo la proporzionalità tra le “altre ipotesi” di cui all’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970, per le quali è prevista la tutela indennitaria cd. Forte (Cassazione, ordinanza 9 maggio 2022, n. 14667).

Imprese: incentivi per le società benefit

Dal 19 maggio le domande per il credito d’imposta. (MISE – DM 4 maggio 2022)

A partire dal 19 maggio e fino al 15 giugno 2022 le imprese presenti sul territorio nazionale che si sono costituite o trasformate in società benefit nel corso del 2020 e 2021, potranno presentare domanda per richiedere il credito d’imposta messo a disposizione dal Ministero dello sviluppo economico.
Le società benefit sono attività imprenditoriali che, oltre a perseguire finalità economiche, operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori, ambiente, beni, attività culturali, sociali, enti, associazioni e altri portatori di interesse.
Le risorse stanziate per finanziare il credito d’imposta sono pari a 7 milioni di euro e il contributo potrà essere concesso nella misura del 50% dei costi di costituzione o trasformazione in società benefit, compresi quelli notarili e di iscrizione nel registro delle imprese nonché le spese inerenti all’assistenza professionale e alla consulenza.

CCIAA Crotone: incremento delle misure del diritto annuale

Con il D.M. 14 aprile 2022, il Ministro dello sviluppo economico autorizza, per gli anni 2022, 2023 e 2024 e per la Camera di commercio di Crotone, l’incremento del 50% della misura del diritto annuale per il finanziamento del piano di riequilibrio finanziario di cui alla rispettiva delibera commissariale.

È autorizzato, ai sensi del comma 784, dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, per il triennio 2022-2024, per la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Crotone, l’incremento del 50 per cento della misura del diritto annuale per il finanziamento del piano di riequilibrio finanziario “ipotesi 3 – fitto parziale della sede camerale” di cui alla delibera commissariale n. 5 del 3 dicembre 2022, così come condiviso dal Dipartimento Sviluppo Economico e Attrattori Culturali della regione Calabria con nota prot. n. 79024 del 17 febbraio 2022.
L’autorizzazione è, comunque, revocata dall’anno successivo alla costituzione, per effetto del decreto del Ministro dello sviluppo economico 16 febbraio 2018, del nuovo ente camerale “Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia”. Il Consiglio del nuovo ente è tenuto a verificare la persistenza delle condizioni di squilibrio strutturale e a presentare, ai fini della necessaria autorizzazione, un nuovo programma di riequilibrio finanziario che tiene conto degli effetti economici e finanziari derivanti dall’accorpamento degli enti camerali.
La camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Crotone trasmette alla Direzione generale per il mercato, la concorrenza, la tutela del consumatore e la normativa tecnica, Divisione II – Sistema camerale e alla Regione Calabria, per il tramite di Unioncamere, entro il 31 maggio di ogni anno, una relazione sullo stato di attuazione del piano alla data del 31 dicembre dell’esercizio precedente e sul raggiungimento degli obiettivi di risanamento individuati nel medesimo piano, evidenziando i motivi di un eventuale scostamento e le eventuali variazioni intervenute sui fattori esogeni ed endogeni che incidono sullo stato di dissesto.
Alle relazioni sono allegati il parere del collegio dei revisori dei conti e l’ultimo bilancio d’esercizio approvato.
In caso di eventuali variazioni intervenute sui fattori esogeni ed endogeni che incidono sullo stato di dissesto, la camera di commercio è tenuta a proporre una modifica del piano, anche in termini di riduzione della durata del piano originariamente approvato.
L’eventuale accertamento di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi fissati dal piano verrà valutato dal Ministro dello sviluppo economico ai fini dell’eventuale revoca dell’autorizzazione dell’incremento del diritto annuale per gli anni successivi.
Il versamento dell’importo è effettuato unitamente al versamento del diritto annuale ordinario entro le scadenze di cui all’articolo 17, comma 3, lettera a) del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001 n. 435, ossia per la prima rata, nel termine previsto per il versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente.

 

Diritto di critica sindacale: escluso il reato di diffamazione

 

Non integra il reato di diffamazione a mezzo stampa, costituendo legittimo esercizio del diritto di critica sindacale, la pubblicazione di articoli contenenti invettive volte a stigmatizzare gli atteggiamenti e la complessiva condotta di sfruttamento dei lavoratori del datore di lavoro (Corte di Cassazione, Sentenza 05 maggio 2022, n. 17784).

La Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dal lavoratore condannato per il reato di diffamazione a mezzo stampa a seguito della pubblicazione, ad opera di questi, di un articolo avente ad oggetto la condotta del datore di lavoro.
La vicenda in esame, in particolare, atteneva alle parole utilizzate dal lavoratore su un blog dallo stesso curato, per commentare il comportamento datoriale in occasione di una protesta sindacale organizzata dagli operai di una cooperativa, per motivi collegati al recesso dal contratto di appalto della azienda di cui la persona offesa era amministratore delegato.
L’articolo venuto in rilievo, secondo la valutazione dei giudici di merito, conteneva un ingiustificato attacco personale, con riguardo al quale non poteva ritenersi sussistente l’esimente dell’esercizio legittimo del diritto di critica sindacale.

Esprimendosi su punto, i giudici di legittimità hanno chiarito che il diritto di critica si inserisce nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero e, proprio in ragione della sua natura di diritto di libertà, esso può, dunque, essere evocato come scriminante, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva.
La nozione di critica, rilevante nella fattispecie in oggetto, rimanda all’area della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti, non essendovi limiti all’oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore.
La Corte pone, altresì. in luce che le modalità espressive attraverso le quali si estrinseca il diritto di critica postulano una forma astrattamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione dell’altrui reputazione. Tuttavia, quest’ultima non è incompatibile con l’uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico.
Da qui la necessità di contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, da valutare in relazione al contesto spazio – temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere.
Difatti, nella fattispecie in scrutinio le invettive nei confronti del datore di lavoro, pur astrattamente offensive, tuttavia, sono state giudicate pienamente conferenti all’oggetto della controversia, ossia la situazione di sfruttamento dei lavoratori denunciata a livello sindacale, e, inserendosi appieno nel contesto di aspra critica sindacale, in quanto volti a condannare la complessiva condotta datoriale, non prendono di mira la persona in sé e non danno luogo a un attacco personale. Il tono e le parole, pur taglienti, sferzanti, non possono essere qualificati come inutilmente umilianti, né ingiustificatamente aggressivi, ma risultano, viceversa, funzionali alla esplicita finalità di disapprovazione che si voleva esprimere.
Deve pertanto concludersi che, con riguardo all’articolo pubblicato dal lavoratore, sia ravvisabile l’esimente del legittimo esercizio del diritto di critica, che esclude, in concreto, l’offensività della condotta, una volta contestualizzata nella diatriba sulla legittimità delle posizioni datoriali, con pertinenti espressioni e, seppur aspre, funzionali all’argomentazione.

Società ExtraUe: rimborso Iva escluso se la fattura è intestata al rappresentante

Una società israeliana che intende realizzare in Italia operazioni attive per le quali il debitore d’imposta è il committente o il cessionario residente, non può chiedere il rimborso Iva tramite la procedura semplificata prevista dall’art. 38-ter, D.P.R. n. 633/1972 se le bollette doganali, equiparabili a tutti gli effetti alle fatture di acquisto, sono intestate alla partita Iva italiana della società (Agenzia delle Entrate – risposta 09 maggio 2022, n. 248).

I soggetti passivi residenti in Paesi non appartenenti alla Comunità Europea, privi di una stabile organizzazione in Italia, possono chiedere il rimborso dell’IVA assolta nel territorio dello Stato purché ricorrano le seguenti condizioni:
– assenza di operazioni attive territorialmente rilevanti in Italia nel periodo del rimborso, ad eccezione delle operazioni per le quali il debitore d’imposta è il cessionario/committente italiano, delle prestazioni di trasporto e delle relative operazioni accessorie non imponibili e delle operazioni effettuate ai sensi dell’art. 74-septies del medesimo decreto IVA;
– inerenza all’attività del soggetto passivo extra-UE degli acquisti o delle importazioni di beni e/o di servizi con riferimento ai quali si chiede il rimborso dell’IVA;
– detraibilità in Italia dell’IVA chiesta a rimborso;
– reciprocità di trattamento degli operatori italiani nello Stato estero di appartenenza del soggetto passivo. Attualmente le condizioni di reciprocità sussistono unicamente con la Norvegia, Israele e la Svizzera.

In assenza di una stabile organizzazione, la nomina di un rappresentante fiscale non preclude al soggetto non residente la facoltà di chiedere il rimborso IVA mediante la procedura del portale elettronico, purché ne ricorrano le condizioni ed in assenza di cause ostative all’erogazione dello stesso come individuate dall’art. 38-bis2 del decreto IVA.

È necessario, tuttavia, che le fatture di acquisto la cui IVA è richiesta a rimborso tramite il “portale elettronico”:
– siano intestate alla partita IVA del soggetto non residente (non è, quindi, consentito utilizzare il portale per ottenere il rimborso dell’IVA relativa alle fatture passive intestate alla partita IVA italiana);
– non confluiscano nelle liquidazioni periodiche e nella dichiarazione annuale presentata dal rappresentante fiscale.

Ne deriva che, nel caso di specie, la presenza di un rappresentante fiscale non è di per sé un ostacolo per accedere alla procedura di rimborso di cui all’art. 38-ter del decreto IVA. Ciò che ne inibisce l’utilizzo è, infatti, la circostanza che le bollette doganali, equiparabili a tutti gli effetti alle fatture di acquisto, siano intestate alla partita IVA italiana della società.
L’unico soggetto legittimato a recuperare l’IVA assolta al momento dell’importazione resta in ogni caso il rappresentante fiscale cui sono intestate le bollette doganali, che, previa registrazione delle stesse nel registro degli acquisti, può detrarre, al verificarsi delle condizioni, l’imposta assolta, ovvero chiederne il rimborso annuale e/o trimestrale.

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